Natura, storia, cultura
Territorio
L’isola di Sant’Antioco è una delle quattordici isole dell’arcipelago del Sulcis. La sua geologia è caratterizzata prevalentemente da rocce vulcaniche, alternate a rocce calcaree e si presenta abbondantemente erosa e modellata dalle forze del mare e dei venti e quasi priva di suolo. Venendo da sud verso Sant’Antioco la prima isola che si incontra è l’isola del Toro, la punta più meridionale di tutta la Sardegna. Non lontane da essa si stagliano l’isola della Vacca e del Vitello. Gli abitanti di queste isole sono uccelli acquatici come il marangone dal ciuffo, il cormorano, i gabbiani, le sterne, ma anche le berte e soprattutto il famoso Falco della Regina (Falco eleonorae) e la lucertola Podarcis tiliguerta toro.
L’isola di Sant’Antioco, la più grande dell’arcipelago, ha una caratteristica particolare: fin dai tempi dei romani, è collegata alla Sardegna grazie a un istmo di terra ed è, pertanto, comodamente raggiungibile in macchina o con i mezzi pubblici. Superato l’istmo, si entra in una dimensione in cui il tempo sembra essersi fermato.
Il paese di Sant’Antioco si specchia placido nella laguna e l’isola ammalia i suoi visitatori con le sue spiagge, le sue scogliere, l’umanità della sua gente, la grande storia delle sue origini fenicie, i riti in costume dedicati al santo martire che le dà il nome ed è patrono di tutta la Sardegna.
Sull’isola sono presenti due comuni: il comune di Sant’Antioco e quello di Calasetta, di antiche origini liguri come la vicina Carloforte, sull’isola di San Pietro.
Elemento caratteristico del paese di Sant’Antioco è il suo lungomare, amatissimo sia dagli abitanti del posto che dai visitatori: la mattina, è sede del mercato del pesce, mentre soprattutto le sere d’estate è meta ideale per passeggiate romantiche o rinfrescanti. Il lungomare permette di osservare, come in un ampio teatro, tutti i territori che si affacciano sulla laguna, braccio di mare confinato idricamente dalle acque basse e tranquille.
L’ecosistema lagunare, da sempre fonte di sostentamento per gli abitanti del paese di Sant’Antioco, prevalentemente pescatori, ha subito nel tempo molte modifiche e ha vissuto periodi molto difficili a causa dell’impatto antropico. Le industrie pesanti edificate lungo le sue sponde (lato Sardegna), gli scarichi fognari del paese sversati a mare senza depurazione e l’interramento del canale di collegamento con il Golfo di Palmas, portarono la laguna sull’orlo del tracollo ecologico. Le sue condizioni ecologiche migliorarono solamente quando venne ristabilito lo scambio idrico con il mare, ma ancora oggi i pescatori rimpiangono i tempi in cui la laguna brulicava di pesci e di vita.
L’isola di Sant’Antioco, assai poco abitata e ancora molto selvaggia, ha i profumi del Mediterraneo. La sua flora è una macchia bassa, dove gli arbusti sono sferzati dal vento e d’estate il terreno è arido. Le sue coste regalano ai bagnanti giornate indimenticabili. Ampie spiagge o calette, sabbia o scogliere: la scelta è ampia. Quando soffia il maestrale si può beneficiare della costa orientale, da Portixeddu a Capo Sperone passando per Maladroxia, Coequaddus e Turri, mentre col levante è meglio virare a ovest verso Calasetta.
Saline di Sant’Antioco e stagno di Santa Caterina
Le saline di Santa Caterina hanno un’estensione pari a 1.500 ettari di cui 1.300 di vasche evaporanti e 200 di bacini salanti e garantisce una produzione annua di circa 200.000 tonnellate, prevalentemente rivolta all’uso industriale.
Fino agli anni ’50 la laguna di S. Caterina veniva utilizzata come peschiera (peschiera di Palmas), nel ‘62 gli stagni furono messi a sistema e trasformati in salina attraverso una serie di opere di regimentazione idraulica che modificarono la morfologia del territorio.
Il sistema degli stagni fu isolato rispetto alle acque dolci esterne attraverso canalizzazioni che fanno defluire l’acqua piovana o le acque di uso agricolo verso il mare, al fine di non arrecare danno alla produzione del sale. L’acqua da cui si ricava il sale, invece, viene canalizzata e prelevata a più di 20 Km da Sant’Antioco, presso Porto Pino, e impiega circa 40 giorni per arrivare alle caselle salanti, dove si raccoglie il cosiddetto oro bianco.
La salina è tra le attività antropiche più rispettose dell’ambiente.
La produzione del sale dipende principalmente da tre componenti principali, tutte naturali: l’acqua di mare, il sole e il vento. Ad essi si aggiunge l’ingegno dell’uomo e il suo lavoro volto a massimizzare la produzione industriale, compatibilmente con le condizioni ambientali di contorno.
IL BISSO
La cosiddetta seta del mare è una fibra tessile di origine animale prodotta dalla Pinna nobilis, o nacchera, specie endemica del Mar Mediterraneo. La nacchera, grande mollusco bivalve, popola le praterie di Posidonia oceanica, habitat di molte specie marine ed elemento fondamentale, una volta spiaggiata, per la protezione delle coste dall’erosione. Fin dall’antichità si ricavavano dal bisso pregiatissimi e costosi tessuti con i quali si confezionavano vesti per i personaggi più influenti delle società babilonese, assira, fenicia, ebraica, greca e infine romana. Nell’isola di Sant’Antioco alcune donne conoscono ancora oggi le tecniche per lavorare la seta del mare e realizzare al telaio preziosi ricami. Oggi la Pinna nobilis è una specie protetta e il bisso non si può prelevare dal mare.
LA PALMA NANA
Vanto di Sant’Antioco, la piccola palma (Chamaerops humilis) appartiene a una delle famiglie vegetali più antiche della terra – 100 milioni di anni – ed è l’unico esponente delle palme nativo d’Europa. La pianta cresce selvatica nell’isola ed è utilizzata fin dai tempi antichi per fabbricare imbottiture o manufatti di vario tipo con le sue fibre (scope, cestini, spazzole, elementi ornamentali per le occasioni di festa ecc.).
Storicamente erano gli abitanti delle grotte di Sant’Antioco, is gruttaiusu, a dedicarsi alla lavorazione della palma per sbarcare il lunario. La comunità de is gruttaiusu viveva emarginata nelle antiche sepolture fenicio-puniche trasformate in abitazioni, in uno stato di estrema indigenza, e solo nel 1955 fu trasferita dalle autorità comunali in alloggi più dignitosi.
I VIGNETI A PIEDE FRANCO E IL CARIGNANO DEL SULCIS
Sant’Antioco è nota per i suoi antichi vigneti autoctoni a piede franco che si sono salvati dalla devastazione che, tra fine ‘800 e primi ‘900, ha travolto le vigne europee ad opera della fillossera. Tali vigneti hanno conservato le radici originali senza la necessità di innestare il clone europeo sul piede americano, capace di resistere al parassita killer. Poco produttivi, crescono bassi e compatti sui terreni sabbiosi e si vendemmiano quasi distesi per terra. Da questi vigneti si produce il Carignano del Sulcis, il vino di questa terra.
IL FALCO DELLA REGINA
Scoperto nell’800 da Alberto Lamarmora proprio sull’Isola del Toro, fu intitolato a Eleonora d’Arborea (da cui il nome Falco eleonorae) perché la regina aveva incluso nella Carta de Logu una legge speciale per la protezione dei rapaci. Il falco delle regina raggiunge l’Isola del Toro per nidificare ma vive le maggior parte dell’anno in Madagascar. Sull’Isola del Toro cambia la sua dieta passando da un’alimentazione a base di insetti a un’alimentazione a base di altri uccelli, perché nidifica nel periodo in cui molti uccelli migrano verso l’Africa. Utilizza il maestrale per odorare gli uccelli che gli arrivano “a portata di becco” e che cattura per nutrire i suoi piccoli: per questo è chiamato anche Falco del Maestrale. La colonia presente sull’isola del Toro ha una consistenza stimata di circa 60-70 coppie.
LA LUCERTOLA DELL’ISOLA DEL TORO
Noto caso di cleptoparassitismo, la Podarcis tiliguerta toro, viste le difficili condizioni di vita sull’isola del Toro, ha imparato a “rubare” dai nidi del Falco della Regina gli uccelli catturati per nutrire i piccoli del falco. Non avendo un apparato boccale molto sviluppato, strappa la carne delle prede ruotando su se stessa, come i coccodrilli.